Domani a Making Cosmetics si terrà una conferenza, a cura della Prof.ssa Paola Perugini, Dipartimento Scienze del Farmaco dell’Università di Pavia, dal titolo “Botanicals e packaging cosmetico”.
La Prof.ssa Perugini farà luce sulle bioplastiche che si stanno affacciando sul mercato come alternative sostenibili alle plastiche tradizionali. Un argomento attuale e complesso perché parlare di estratti naturali, noti come botanicals, e del loro impiego nel packaging cosmetico, significa anche parlare del “rovescio della medaglia”, ovvero delle possibili interazioni tra gli estratti naturali con i materiali polimerici di cui è fatto il packaging primario. Interazioni che possono causare modifiche nella qualità, e a volte nella sicurezza, del prodotto. Noi abbiamo incontrato la Prof.ssa Perugini: ecco cosa ci ha raccontato, in anteprima, sulle bioplastiche.
1- Qual è il limite all’uso di bioplastiche nel settore cosmetico?
L’esigenza di cercare nuovi materiali, o comunque di utilizzare strategie diverse per il riciclo, è figlia di una crescente attenzione verso la sostenibilità in campo alimentare e cosmetico. Le strade sono diverse e qui, nello specifico, affrontiamo il tema delle bioplastiche. Plastiche che, per definizione, possono subire una biodegradazione.
È bene sottolineare questo aspetto perché, spesso, c’è confusione sull’uso dei termini biodegradabile e bio-based. I materiali bio based, pur essendo di origine naturale, possono non essere biodegradabili, che è invece la condizione propria di un materiale che, una volta disperso nell’ambiente, dopo non più di 6 mesi per azione dei batteri si degrada in composti chimici più semplici.
Il tentativo di utilizzare bioplastiche per il packaging cosmetico è una sfida complessa ma interessante, perché il loro impiego permetterebbe al pack di essere compostato alla fine del suo utilizzo. Il problema è capire se siano in grado di soddisfare gli stessi standard dei materiali utilizzati oggi. Nel caso del packaging cosmetico parliamo di impermeabilità, processabilità, funzione barriera, resistenza a grassi, acqua e luce, disponibilità e costi.
2- In tema di packaging sostenibile: quali sono le principali bioplastiche sul mercato? Quali sono i vantaggi/svantaggi di ciascuna di esse?
Oggi le sostanze che possono rappresentare un futuro per la plastica biodegradabile sono diverse, per lo più origine agricola e marina. Si tratta di biopolimeri, cioè di polimeri derivati da fonti rinnovabili, estratti da piante, oppure ottenuti per sintesi chimica usando monomeri di origine biologica e rinnovabile o di polimeri prodotti da batteri o microrganismi geneticamente modificati.
Tra i più noti ci sono i derivati della cellulosa, ideali perché contengono una percentuale di lignina che garantisce durezza al packaging; la chitina, uno dei biopolimeri più diffusi in natura, insolubile e particolarmente adatta ai materiali di confezionamento e poi i poliidrossialcanoati, polimeri poliesteri termoplastici sintetizzati da batteri di vario genere, che riescono ad avere quasi tutte le caratteristiche dei polimeri dei packaging tradizionali. Stabili agli UV, mostrano bassa permeabilità all’acqua ed elevata resistenza agli urti.
Il limite attuale alla scelta delle bioplastiche nel packaging è che la maggior parte dei polimeri “papabili” non riescono a garantire una shelf-life sufficiente per il mercato cosmetico. Siamo arrivati a garantire una shelf-life max di 2 anni, che non è poco, ma il vero limite è un altro ed è legato alle possibili interazioni con il contenuto. Nella scelta del polimero da utilizzare bisogna riflettere sul tipo di prodotto che ci sarà all’interno. Contenitore e contenuto devono essere intesi come una coppia inscindibile.
“le bioplastiche sono plastiche che subiscono una biodegradazione “
3- E’ vero che alcuni estratti vegetali possono interagire con il packaging primario e compromettere, talvolta, la sicurezza del prodotto stesso?
Sì, è così. Gli estratti vegetali sono miscele di sostanze, tra cui quelle lipofile, che tendono ad essere assorbite dal packaging attualmente utilizzato. Nel caso in cui ad essere assorbito sia lo stesso attivo, come ad esempio il conservante, il rischio è, riducendone la concentrazione all’interno del prodotto, di alterare la sicurezza microbiologica del prodotto stesso. Nel caso invece siano assorbite altre sostanze, come terpeni, polifenoli, oli essenziali, il rischio è di compromettere la stabilità meccanica della confezione e provocare delle fessurazioni. Tutto ciò conduce ad un’alterazione delle proprietà di barriera del pack che, a sua volta, porta ad una riduzione della qualità, e forse della sicurezza, del prodotto finale.
4- Secondo lei, qual è il futuro del packaging sostenibile?
Oggi la migliore strada per la sostenibilità passa attraverso il recupero, il riuso e il riciclo. Così non si immette nuova plastica nell’ambiente, né altri polimeri sintetici. Il recupero è la strada da percorrere per un basso impatto ambientale, a patto che si garantisca la sicurezza del prodotto finale.
Non dimentichiamoci, infatti, che il packaging è costituito da una miscela di sostanze, miscela che necessariamente cambia dopo il processo di recupero e riciclo. Possiamo dire che il processo di riciclo è una strada percorribile solo se, considerando tutti i processi, si può garantire sempre la sicurezza del prodotto finale.
Un’altra sfida per la cosmetica è quella di utilizzare sia il packaging che il contenuto completamente compostabili.
Il limite più grande resta la shelf-life molto contenuta, con ripercussioni sul prezzo e sulle abitudini del consumatore finale.
Investimenti in R&D servono a poco, però, se non si fa educazione. A tutti gli attori della filiera: achi produce, al consumatore, fino a chi smaltisce i rifiuti. Solo così si può chiudere il “cerchio della sostenibilità”.
“la strada per la sostenibilità passa attraverso il recupero, il riuso e il riciclo.”