Con l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea ci sono state inevitabili ripercussioni economiche anche per le aziende italiane. Conseguenze che possono avere anche pesanti strascichi legali. Dopo la Brexit, contratti e scambi commerciali vanno rivalutati alla luce di nuovi accordi che possono incidere in modo significativo nella gestione del proprio business. E’ di questo che si è parlato nel webinar organizzato dal Polo della Cosmesi e Roedl&Partner “Brexit, un anno dopo”.
Tra gli elementi che sono cambianti c’è sicuramente il prezzo: l’aumento dei costi per ogni attività da e verso il Regno Unito è una delle poche certezze dopo il divorzio con l’UE. “È indispensabile cautelarsi con clausole di adeguamento del prezzo parametrate a possibili incrementi dei costi – spiega Giovanni Montanaro, avvocato partner di Roedl -. In primo luogo, sarà necessario cautelarsi con riferimento a nuove tassazioni o eventuali dazi (al momento non previsti ma impossibili da escludere in futuro) o diversi costi di (nuove) pratiche doganali. Considerazioni analoghe valgono anche per eventuali diversi rincari (es. trasporti, rapporti di lavoro) oltre che per il rischio valutario (cambio euro-sterlina) che potrebbe acuirsi. All’occorrenza in particolari eventi, potrebbe essere necessario stabilire non solo un adeguamento del prezzo ma anche una risoluzione del contratto. Attenzione anche agli Incoterms, che stabiliscono su chi gravano alcuni oneri relativi ai prodotti”.
GLI ELEMENTI DEI CONTRATTI SOTTO LA LENTE
Usualmente, nei contratti commerciali, anche se nessuna delle parti è del Regno Unito, si applica largamente la legge inglese (Lawsof England& Wales) come legge regolatrice del contratto, in quanto tutela. “Nel diritto inglese – sottolinea Montanaro – non viene compresa l’incidenza di eventi di forza maggiore tali da far venire meno la responsabilità di una parte in caso di inadempimento contrattuale, ma questi eventi vanno espressamente disciplinati. Di particolare importanza è dunque specificare quali possono essere le circostanze che giustificano una sospensione o una risoluzione anche parziale del contratto. Facendo tesoro dell’esperienza Covid, potrebbe trattarsi, per esempio, di fermi alla frontiera o quarantene delle merci. Una particolare attenzione è ancora da dare ai termini di consegna della merce, che spesso sono considerati essenziali nel diritto inglese, così da originare gravose penali in caso di ritardi”.
Altro elemento da tenere in considerazione in una situazione di particolare incertezza è la durata di un contratto “Sarebbe meglio escludere eventuali meccanismi di rinnovo automatico – consiglia il legale – È prudente ipotizzare contratti di durata circoscritta, così anche da costringersi a rivalutarli periodicamente”.
CONFORMITA’ DEI PRODOTTI
“Al di là della legge applicabile al contratto – ha aggiunto Montanaro – saranno da considerare le specifiche normative richiamate per valutare la conformità o meno dei prodotti forniti per il mercato del Regno Unito. In futuro, ogni riferimento a standard UE escluderà nuove normative (o implementazioni di normative passate) del Regno Unito. E vale l’opposto: la conformità alla normativa del Regno Unito non sarà più automatica in caso di conformità alla normativa UE. Per le imprese italiane sarà dunque importante continuare a riferirsi agli standard UE, per evitare contestazioni della fornitura”.
LAVORARE IN UK DOPO LA BREXIT
Con la Brexit, sono cambiati anche i rapporti di lavoro tra GranBretagna e UE. Su questo aspetto si è soffermata Charlotte Bateman, avvocato Senior Associate di Roedl&Partner. “Dal 1° gennaio 2021, con l’uscita del Regno Unito dall’UE, la libera circolazione dei lavoratori verso il Regno Unito non è più applicabile – spiega la legale -. I migranti dell’UE che desiderano entrare nel Regno Unito per vivere, lavorare o studiare dovranno ora presentare in anticipo la domanda per il permesso di soggiorno con il nuovo sistema che si applicherà allo stesso modo ai cittadini UE e non UE. I datori di lavoro nel Regno Unito avranno ora bisogno di “licenze di sponsorizzazione” per assumere dipendenti dell’UE. Prima del 1° gennaio 2021, i migranti dell’UE che già vivevano o lavoravano nel Regno Unito potevano applicare Eu Settlement Scheme entro il 30 giugno 2021. Secondo il Ministero dell’Interno, oltre 5,5 milioni le domande sono state presentate al regime di regolamento dell’UE”.