Senza conservanti, senza parabeni, senza coloranti, senza alcool. Cosa resta? Una cosmesi per sottrazione che non sempre riesce a comunicare quella che è veramente. La frenesia e la rincorsa al “miglior” claim con il quale stupire i consumatori e guadagnare pezzetti di mercato, stanno mettendo all’angolo ingredienti ingiustamente ritenuti pericolosi senza al contrario promuovere la complessità del lavoro di formulazione. Ma da dove nasce la “cosmetica del senza” e come limitarne l’abuso?
UN PO’ DI CHIAREZZA
“La cosmesi del senza nasce tanti anni fa con l’obiettivo preciso di dare risposte con un profilo di sicurezza maggiore per pelli patologiche – spiega la professoressa Alessandra Semenzato del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università degli Studi di Padova –. Rinunciare agli additivi, dai profumi ai preservanti o coloranti, implica un aumento della sicurezza; sono tutti ingredienti riconosciuti e normati, e che possono avere conseguenze per chi ha una pelle problematica. Questa è la “cosmetica del senza” sana, riconosciuta e vera, che è nata dal coraggio di esplicitare ciò che tutti sapevano”. Non utilizzare profumi e conservanti richiede uno sforzo nella formulazione più elevato: “Occorre stare più attenti ad esempio agli odori o alla possibilità che il prodotto si inquini più facilmente – continua la docente -. La cosmesi del senza è un valore”. La situazione però è degenerata, in alcuni casi è sfuggita di mano.
NATURA COME LABORATORIO CHIMICO
Il clima di paura nei confronti di alcuni ingredienti e prodotti è dilagato ben prima del Covid. “Alcuni ingredienti più di altri sono stati visti con sospetto – commenta Semenzato -. In particolare, si è sviluppata una fobia verso la chimica e una predilezione verso tutto ciò che è naturale, considerato di per sé sano e non pericoloso, senza rendersi ben conto che la Natura stessa è il laboratorio di reazioni chimiche dal quale l’uomo trae ispirazione. C’è stato bisogno dell’intervento del legislatore ad esempio per dire che il profumo naturale è uguale al profumo sintetico in termini di allergie. D’altra parte anche l’esperienza della cosmetica dermatologica ha dimostrato come sia possibile creare un buon detergente anche con l’utilizzo di solfati se calibrati bene”.
COSMETICA DEL NULLA
Puntare alla massima sicurezza, come impone la legislazione, richiede però costi elevati. Così, molti hanno iniziato a formulare in modo differente. “In questo cono d’ombra, dove la tendenza delle aziende è stata quella di associare la sicurezza alla sparizione di ingredienti, è matura quella che chiamo la cosmesi del nulla – sottolinea Semenzato –, cioè la cosmesi di chi non ha nulla di dire e quindi dice ciò che non ha”.
Un trend di marketing che punta a veicolare messaggi molto facili e comprensibili al consumatore, cercando di semplificare un sistema complesso: “Cosa non semplice da fare – spiega la ricercatrice –. Ci vorrebbe più onestà intellettuale, perché si è creato un corto circuito al centro del quale trovano spazio le mezze verità. Da un lato il consumatore sempre più in allarme, dall’altro il marketing cosmetico che fa leva sulle paure in una strategia di breve periodo che sembra pagare, ma sul lungo periodo può rivelarsi un boomerang per le imprese”.
COME ORIENTARSI
Guardare alla coerenza del prodotto è la chiave per scegliere. “Di fronte ad una serie infinita di “senza” occorre chiedersi: perché un’azienda preferisce raccontare tutto ciò che non c’è piuttosto quello che di buono ha messo nel suo prodotto? – afferma Semenzato –. Ricordo che i claims devono essere informazioni utili e veritiere: ad esempio, ci sono prodotti che indicano che non contengono profumo e poi tra gli ingredienti troviamo degli allergeni. Chi formula senza preservanti ha un’attenzione in più rispetto ai consumatori perché è molto più complesso farlo: ma allora perché non comunicarlo in modo compiuto e limpido?”.
CARENZA DI INFORMAZIONE
Alcune categorie di persone hanno necessità di maggiori attenzioni, come ad esempio i soggetti allergici. “Oggi c’è molta cura nella difesa del microbiota cutaneo – continua Semenzato –. Il non utilizzo dei conservati nei prodotti pensati per questa fascia di popolazione, ad esempio, è una tendenza scientificamente ragionevole e che spinge a formulare in maniera seria e innovativa: su questo ci sarebbe molto da raccontare senza trincerarsi dietro slogan veloci e semplicistici. Le aziende devono imparare a parlare di più e meglio , perché dietro c’è un universo e il consumatore, soprattutto oggi, vuole sapere ed essere messo al corrente in modo trasparente”.
DIVENTARE PIU RAGIONEVOLI
Dopo la “Cosmesi del Senza”, ci sarà mai una “Cosmesi del più”? “Più che per addizione vedo un cammino verso la razionalizzazione – conclude Semenzato –. Penso ad esempio al trend della Clean Beauty, i prodotti che nascono ora sono pensati per le giovani generazioni, dove ci si mette tutto ciò che serve con un occhio alla sostenibilità. L’idea di cosmesi è cambiata rispetto alle generazioni passate, ma non significa che un cosmetico con pochi ingredienti sia bene e quello più ricco sia male, anche perché spesso le formulazioni complesse devono la loro bellezza in termini di texture, nuance, tenuta e di aspetto sensoriale proprio all’ingegneria con la quale sono state create. Come sempre, tutto dipende dalla bravura del formulatore. Per questo dico che più che addizione vedo una razionalizzazione, che però potrebbe sfuggire di mano perché non è un concetto semplice da capire e da comunicare, visto che non si colloca in una posizione chiara rispetto a trend molto popolari”.
In tutto questo la pandemia ha paradossalmente aiutato: “C’è voglia di normalità, di bellezza, di socialità, di spensieratezza. Tutte le preoccupazioni, le paure verso alcuni ingredienti o alcuni prodotti, e i claim ad essi correlati, stano stancando. Credo si vada verso il raffreddamento di certi estremismi. La vera sfida del futuro sarà quella di comunicare la grande tecnologia che esiste nel settore cosmetico in Italia: non abbiamo da invidiare nulla a nessuno”.