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Inclusività: il mondo skincare è davvero per tutti?

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Inclusività. Nel mondo della bellezza se ne parla da tempo, ma il sogno di eguaglianza fra le razze sembra ancora lontano. Lo skincare, una categoria in teoria molto inclusiva, dimostra nei fatti un profondo e radicato razzismo.

Inclusività: uno sguardo d’insieme 

L’industria della bellezza deve fare i conti con un tema sempre più trasversale: l’inclusività. L’esclusione razziale che per decenni ha caratterizzato il comportamento di molte beauty corporations non è più accettata dai consumatori, che scelgono con il proprio portafoglio. Lo skincare, categoria che potrebbe sembrare neutrale per definizione, deve combattere i pregiudizi insiti nel suo sistema e cambiare le proprie regole.  

D’altronde, i cosmetici utilizzati da chi vive in un clima temperato non possano essere gli stessi di chi vive in Africa, nell’Europa settentrionale o in qualche isola tropicale perché ogni popolazione ha le sue peculiarità, patologie, inestetismi. Per essere efficaci, i cosmetici devono rispettare queste specificità. 

L’industria della bellezza, costruita sulla retorica bianca, per anni è stata dominata dagli ideali di bellezza eurocentrica e coloro che non si conformavano venivano spinti al cambiamento o semplicemente esclusi. Ma il vento sta cambiando. E l’inclusività è un tema sempre più forte. 

Skincare: il razzismo imperante e l’utopia dell’inclusività

Negli ultimi anni, infatti, il mondo delle bellezza ha iniziato a mostrare attenzione verso il tema, con alcuni brand che hanno preso posizione attivamente contro i pregiudizi razziali. Il vero problema è che il fraintendimento è insito nella categoria skincare e nasce dal fatto che i prodotti, in linea di principio, potrebbero essere usati da tutti. Si tratta di teoria, perché nella pratica è tutta un’altra storia. 

Gli stessi ricercatori hanno rivelato, infatti, che i prodotti skincare in realtà sono stati creati per le pelli caucasiche e che i test vengono effettuati su soggetti di pelle bianca. Il colore della pelle non rientra fra le preoccupazioni dello skincare è vero, ma è altrettanto vero che le varie colorazioni della pelle presentano delle peculiarità e delle problematiche che spesso non vengono evidenziate o nemmeno prese in considerazione dall’industria dermatologica e medica.  

E’ tempo di cambiare

Il 2020 ha segnato un punto di svolta nella società. “Ora è tempo di cambiare”, ha detto l’attore John Boyega durante le proteste per il Black Lives Matter a Londra. Lo stesso attore che, proprio qualche tempo fa, ha deciso di non rappresentare più il marchio di cosmetici Jo Malone, dopo che il brand aveva deciso di rigirare lo spot di Boyega per il mercato cinese senza persone nere, ma utilizzando un altro attore e venendo meno alla diversità etnica.   

Gli effetti di questo movimento si stanno facendo sentire ovunque nel mondo. Multinazionali come Johnson & Johnson hanno modificato il proprio approccio alla bellezza focalizzato principalmente sulle pelli bianche, ma è una goccia nell’oceano. I consumatori vogliono azioni concrete e coloro che non faranno nulla rimarranno indietro.   

 “So che le estetiste sono restie a trattare le pelli di colore perché nelle scuole non c’è abbastanza informazione ed educazione su questo tema. Io mi chiedo: come puoi dare l’idoneità a trattare la pelle a qualcuno che non sa come si trattano tutte le pelli?!” ha detto Ally Dawson, estetista e fondatrice di Serving Face First.   

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Inclusività, un tema che interessa anche la dermatologia 

La questione, però, ha origini più profonde e interessa anche la scienza medica. In primis la dermatologia. La scienza della pelle è ancora lontana dall’inclusività. Qualche esempio? Nonostante le persone di pelle bianca siano una minoranza, la ricerca è basata essenzialmente sulle pelli bianche. 

Non solo. Un recente studio condotto da Adelekun e Onyekaba, dell’Università della Pennsylvania, ha scoperto che nei testi di dermatologia solo l’11,5% delle immagini è relativo a soggetti di pelle scura. Un’ulteriore conferma arriva da uno studio condotto da un professore dell’Università della California che valutava i cambiamenti della pelle dovuti al coronavirus. Di oltre 130 immagini presenti, il 92% erano di soggetti con pelle bianca, il 6% era di mulatti e nessuna ritraeva soggetti con pelle scura o molto scura.   

Questo gap mostra che le persone di colore hanno meno probabilità di avere cure e trattamenti specifici per la loro pelle e per le sue peculiarità. “In un sistema che è interamente costruito sulle pelli e sulle epidemiologie caucasiche, i pazienti di colore non possono ricevere le stesse cure dei bianchi”, dice Michael Mackley, uno studente canadese al terzo anno di medicina.  

Focus sulla pelle scura  

Qualcuno che va controcorrente però c’è.Pensiamo a piattaforme come Mind the Gap, un manuale dei segni clinici della pelle bianca e di quella nera, o Brown Skin Matters, un’antologia che raccoglie le immagini delle patologie cutanee fotografate sulla pelle scura. Per loro, il focus sono le patologie delle pelli scure.

Cosa si deve fare?

Trasformare l’educazione e il training in una priorità. Rassicurare tutti, dai dermatologi fino alle venditrici nei reparti beauty, che si possono diagnosticare e trattare le patologie delle pelli scure. Basta imparare a conoscerle. 

Non solo. Occorre supportare e investire Nei movimenti che chiedono più inclusività in dermatologia.    

“Alla fine la pelle è pelle, perciò il problema non è la mancanza di prodotti, ma l’assenza di un relativismo culturale e di una conoscenza specifica della pelle delle donne di colore”, sostiene il brand Base Butter. Triste ma vero.