Nel corso del tempo sulla plastica è stato detto tutto e il contrario di tutto: è stata celebrata, esaltata, sfruttata, per poi essere messa all’indice rea di non essere compatibile con l’ambiente. Come stanno davvero le cose? La verità, come sempre, sta nel mezzo e questa intervista a Libero Cantarella, Direttore di Unionplast, nasce dalla volontà di fare chiarezza su questo tema così delicato e controverso.
Quel che è certo è che, oggi più che mai, la plastica è una risorsa preziosa, talvolta insostituibile, che la pandemia- e la crescente richiesta di imballaggi sicuri ed ermetici ad essa connessa – hanno contribuito a riabilitare.
La plastica si è dimostrata un materiale sicuro – e in tempi di pandemia non è cosa da sottovalutare -, leggero, economico, facile da lavorare. E se è indubbia la sua capacità di garantire sicurezza e lunga conservazione dei prodotti, molto si può dire anche sulla sua sostenibilità. I processi produttivi di lavorazione della materie plastiche sono sempre più orientati alla sostenibilità e la R&D ha fatto passi da gigante nello sviluppo di soluzioni riciclate e riciclabili. Il tutto in un’ottica di Economia Circolare.
La plastica non è dunque da demonizzare, al contrario: è un materiale utile, che come altri va considerato senza pregiudizi nell’interezza del suo ciclo di vita, dalla produzione fino allo smaltimento a fine vita. L’invito è a leggere questa intervista. Dopo, sulla plastica, la penserete in maniera diversa.
Iniziamo subito con lo sfatare un falso mito, cioè che la plastica non è sostenibile.
Mi fa piacere che lei definisca un falso mito il fatto che la plastica non sia sostenibile. Perché di fatto è così. Innanzitutto, la plastica è riciclabile e quindi un oggetto di plastica può ritornare a essere materia prima per produrre un altro oggetto. Questo significa non solo trasformare un rifiuto in una risorsa, ma anche risparmiare il consumo di risorse naturali. Nel 2019, 617mila tonnellate di imballaggi riciclati hanno fatto risparmiare 433mila ton di materia prima vergine. Una quantità pari a 14mila TIR che formerebbero una colonna di 196 km. Non solo. Si sono evitate 877mila ton emissioni di CO2, pari alle emissioni prodotte da 881 voli A/R Roma Tokio.
E’ importante anche sottolineare che la sostenibilità di un prodotto andrebbe misurata sul suo intero ciclo di vita con il metodo LCA – Life Cycle Assessment – perché ogni fase di lavorazione, dalla produzione della materia prima a quando un oggetto diventa un rifiuto, ha un potenziale di inquinamento, e non soltanto nella fase in cui deve essere smaltito. Gli studi LCA danno spesso risultati che sconfessano il luogo comune e in diversi casi la plastica è più sostenibile di materiali comunemente considerati più ”green”. Numerosi studi sostengono che la sostituzione della plastica con altri materiali comporterebbe maggiori danni ambientali.
È vero che la plastica in molti settori, come l’alimentare o il cosmetico, ad oggi è un materiale insostituibile?
Sì, è così. In diversi casi, gli imballaggi in plastica ad oggi sono irrinunciabili non solo per i comportamenti sociali e le modalità di consumo che si sono affermate, ma anche- e soprattutto- per il bisogno di sicurezza e di igiene del mercato. Un fenomeno che in questi mesi di pandemia è cresciuto esponenzialmente. Pensare di rinunciare alla plastica per la realizzazione degli imballaggi è irrealistico. La vera avanguardia sono le plastiche 100% riciclabili ed è in questa direzione che si sta muovendo il settore.
Che cosa ne pensa della campagna portata avanti negli ultimi anni contro la plastica?
Sinceramente penso che abbia fatto più danni che altro. La parola d’ordine “plastic free” che molti hanno lanciato è pura utopia; in moltissimi casi e applicazioni la sostituzione della plastica non è praticabile. I materiali alternativi spesso non hanno le prestazioni attese e sul fronte della sostenibilità non è sempre tutto come il pensiero comune induce a credere.
La pandemia ha cambiato un po’ la percezione dei consumatori verso la plastica, trasformandola in una risorsa preziosa – se non addirittura insostituibile. Che cosa ha fatto “cambiare idea” ai consumatori?
Sicuramente, in seguito alla pandemia, la necessità di sicurezza e igiene ha influenzato il percepito degli imballaggi in plastica e fatto cadere qualche pregiudizio. Nonostante ormai da anni assistiamo ad una “guerra” mediatica contro gli imballaggi in plastica, i consumatori hanno dimostrato di apprezzare le proprietà di questo materiale, come la protezione del contenuto e l’allungamento della vita dei prodotti imballati. Soprattutto in questo drammatico frangente da oggetto di cui si potrebbe fare a meno, la plastica ha guadagnato molte posizioni verso “oggetto desiderabile”.
Una delle strade che rende la plastica sostenibile è il fatto che possa avere una second life. È così?
Esattamente! La possibilità di avere più vite è una delle caratteristiche che fa della plastica un materiale sostenibile. Naturalmente è importante che gli imballaggi in plastica vengano correttamente differenziati e trattati. I progressi da questo punto di vista sono notevoli e, oggi, l’Italia si colloca tra i paesi più virtuosi in Europa. I dati Corepla ci dicono che nel 2019 sono stati riciclati il 43% degli imballaggi immessi al consumo e questa percentuale è in crescita costante da anni.
Anche sull’utilizzo di materia prima seconda l’Italia è decisamente all’avanguardia. Nel 2019, il 19% delle plastiche utilizzate dalle aziende italiane per essere trasformate in oggetti era costituito da plastica riciclata: 1,175 milioni di tonnellate di materia plastica processata è stata utilizzata per dar vita a nuovi oggetti. In questo l’Italia è prima in Europa con un 19% contro una media europea che non supera il 6%.
È vero che con la plastica riciclata si producono prodotti per i più svariati settori, alcuni dei quali davvero insospettabili?
Assolutamente sì! Sino ad oggi l’IPPR – Istituto per la Promozione delle Plastiche da Riciclo, gestito da Unionplast, ha certificato circa 5000 prodotti Plastica Seconda Vita (con un contenuto medio di materia prima seconda prossimo all’80%) nei più diversi settori: arredo urbano, packaging, automotive, arredamento, abbigliamento. Gli esempi di prodotti realizzati con plastica second life davvero non mancano: dal pile che deriva dal riciclo delle bottiglie di PET, alla moquette delle auto, ai tubi nel settore edile e delle infrastrutture…
Quale sarà, secondo voi, il futuro degli imballaggi?
In una società moderna non è pensabile rinunciare agli imballaggi. La ricerca deve proseguire nella progettazione di imballaggi 100% riciclabili con le tecnologie meccaniche attualmente disponibili. Non solo. Occorre lavorare anche su nuove tecnologie di riciclo. Molte università, aziende e centri di ricerca si stanno già muovendo in questa direzione.
D’altronde, questa è la strada tracciata anche dall’Unione Europea che, nel documento “A European Strategy for plastics in a circular economy”, ha stilato una serie di obiettivi ambiziosi in tema di riciclo. L’UE ha previsto che entro il 2030 tutti gli imballaggi siano riciclabili e, parallelamente, vi sia un massivo impiego di materia prima seconda.
Già da tempo le aziende trasformatrici progettano gli imballaggi secondo i principi dell’eco-design, con l’obiettivo di ridurre al minimo l’impatto ambientale. Questo implica la riduzione del peso dei contenitori, e quindi un risparmio di materia prima, e l’utilizzo di materie plastiche omogenee tra loro, in modo che i rifiuti possano essere riciclati senza difficoltà.
In parallelo con questo filone di ricerca, si stanno studiando nuove tecnologie di riciclo per trattare quegli imballaggi con struttura complessa e difficili da processare con la tecnologia meccanica attualmente disponibile.
Le risorse naturali non sono infinite e il modello di economia circolare è ciò che può garantire la sopravvivenza del pianeta. Possiamo quindi dire con certezza che non rinunceremo agli imballaggi, ma che saranno realizzati sempre di più con materiale riciclato.
C’è un altro tema che abbiamo voluto affrontare con Libero Cantarella: la scarsità di materie prime e di polimeri e i prezzi record delle navi cargo. Un problema che minaccia di frenare la produzione di plastica in Europa.
Dove nasce il problema? E’ stato causato dal covid19 o la pandemia ha semplicemente accelerato un processo già in atto?
L’attuale momento di shortage deriva da una serie di concause. La situazione è simile a quella verificatasi nel 2015, ma il nesso eziologico è di natura diversa. Lo scenario attuale infatti non è determinato come allora da un elevatissimo numero di Forze Maggiori invocate dai produttori di polimeri, ma da una serie di contingenze concatenate.
Certamente una prima causa va ricercata in Oriente e, in particolare, in Cina e India. L’economia asiatica è ripartita a tutta velocità e le due super potenze hanno iniziato ad acquistare importanti quantità di polimeri (e non solo) anche a cifre elevatissime, pur di non interrompere le forniture, e tutto questo ha reso l’Europa meno attrattiva per i venditori di polimeri.
Parallelamente, ad esacerbare la situazione e a incrementare verticalmente i prezzi, c’è anche la confusione che regna in tutta la filiera logistica mondiale dopo la pandemia. I costi per noleggiare una nave per trasportare merci sono addirittura quadruplicati e i container sono pressoché introvabili.
Altro fattore: l’ondata di gelo in Texas. Il fenomeno ha mandato in tilt l’industria petrolchimica del paese, inducendo gli USA a trattenere le materie prime per la produzione interna nazionale.
E l’Europa, che ormai ha quasi rinunciato a produrre polimeri e dipende da Usa e Medio Oriente, sta pagando il “prezzo” più alto di questa situazione. La filiera comincia a risentire fortemente della carenza di materie prime e le consegne si stanno facendo più lente e complesse. Qualche impianto comincia a fermarsi.
C’è il rischio che si possano fermare alcune produzioni?
Permane il senso di responsabilità dell’industria nel garantire le filiere più sensibili come il farmaceutico, l’alimentare, ma la situazione comincia a diventare insostenibile, anche in relazione alla impossibilità di aumentare il prezzo a valle. E la questione, purtroppo, non si risolverà rapidamente. Ne avremo ancora almeno fino alla fine del primo semestre 2021. Il mercato europeo è devastato e in Italia la tempesta perfetta si concretizza con gli incubi peggiori: l’evoluzione della pandemia e la plastic tax, ancora lì sospesa come una spada di Damocle.