Se il 2020 sarà ricordato come l’anno della pandemia, il 2021 entrerà negli annali come l’annus horrbilis delle materie prime, dei metalli, dell’energia e dei semiconduttori. Di “orribile”, in questo strano 2021, ci sono infatti i prezzi di questi materiali che, complici lo shortage e l’aumento vertiginoso dei costi della logistica (in primis i trasporti), hanno raggiunto livelli incontrollabili causando un’impennata dell’inflazione.
Tra i prodotti più richiesti in questo momento, ma pressoché introvabili sul mercato, ci sono i microchip: componenti il cui valore è schizzato alle stelle perché tutti i comparti manifatturieri si sono accorti di averne assolutamente bisogno. Piccoli, ma preziosissimi. Piccoli, ma fondamentali per produrre le schede elettroniche presenti in qualsiasi dispositivo di uso quotidiano: dai veicoli ai computer, dagli elettrodomestici agli smartphone. Complice una ripresa record post-pandemia tra le più rapide degli ultimi anni e le speculazioni di alcuni operatori, oggi il mercato è out of stock o, per dirla alla milanese, ghe n’è minga, non ce n’è più. La crisi globale sta colpendo trasversalmente i diversi settori, quasi nessuno escluso. Ma alcuni più di altri. Ecco cosa è successo nell’automotive, uno dei fiori all’occhiello dell’industria italiana.
AUTOMOTIVE ALLE STRETTE
Lo shortage ha colpito materie prime come litio, alluminio, gas, materiali (acciaio, polimeri) e componenti, primi fra tutti i semiconduttori. Se le commodities e i raw materials hanno tempi di estrazione/produzione abbastanza brevi, i semiconduttori per essere prodotti necessitano di molto più tempo: dalle 12 alle 24 settimane – ma in alcuni casi si arriva persino a 32. Ecco spiegato perché, ad oggi, l’impatto più devastante è legato allo shortage dei semiconduttori e tra i settori più colpiti c’è proprio l’Automotive, dove la pervasività dell’elettronica all’interno dell’auto è sempre più alta. Risultato? Ci si è trovati di fronte ad una disruption già ai primi step della catena produttiva.
Lo scenario è paradossale. Alcuni car makers producono solo gli chassis delle auto e li parcheggiano nei piazzali in attesa che arrivino i sistemi prodotti da altri fornitori, i quali, a loro volta, sono fermi in attesa dell’arrivo dei componenti elettronici. Altri invece sono stati costretti a stoppare le linee di produzione per recuperare le perdite dei costi fissi. L’impatto sul settore dell’Automotive è molto alto sia a livello della supply chain, sia in termini di fatturato.
LA CRISI MIETE VITTIME ANCHE IN ALTRI SETTORI
L’automotive non è il solo settore a leccarsi le ferite. Lo shortage dei semiconduttori ha colpito duramente anche l’elettronica di consumo, che durante la pandemia ha visto crescere esponenzialmente la domanda di PC, TV e altri dispositivi.
Ma la crisi della componentistica ha toccato anche l’industria chimica, farmaceutica, cosmetica, che, sebbene non impieghino l’elettronica nei prodotti, ne fanno uso per la produzione. Non si contano i casi di nuove attrezzature non consegnate perché mancano i monitor, i display o altri componenti elettronici per ultimarle. Pezzi che valgono poche centinaia di dollari rispetto al costo totale dell’attrezzatura (parliamo di milioni di euro), ma fondamentali per il suo funzionamento. Un circolo vizioso che sta causando gravi perdite al mercato.
LA TEMPESTA PERFETTA
Dietro lo stato attuale non c’è una sola causa, ma una serie di “eventi fatali” che si sono verificati a partire dal primo trimestre 2021.
In primis, il modello di business. Nell’industria manifatturiera in generale, ma soprattutto nell’industria dei semiconduttori, vige il modello di business “on-demand”: i clienti sono serviti “just-in -time” in base alla loro domanda. Una situazione profittevole sia per i clienti, sia per i distributori che in questo modo mantengono bassi livelli di inventory, ottimizzando i costi della logistica.
Poi, c’è da considerare anche che ¾ dell’industria dei semi conduttori si concentra in China, Taiwan, Korea e Giappone, dove è iniziata la pandemia con i relativi lockdown che hanno paralizzato la produzione.
Durante le varie fasi di lockdown i clienti hanno fatto affidamento sulle (scarse) riserve dei propri magazzini confidando che la ripresa sarebbe stata graduale, ma così non è stato. Il mercato è ripartito a velocità folle e mentre i vari supplier lottavano per riaprire le fabbriche, i clienti esaurivano gli stock a magazzino per far fronte alla domanda del mercato. Se a tutto questo aggiungiamo anche la guerra dei dazi tra Cina e USA, che ha causato forti rallentamenti negli scambi commerciali, ecco descritto lo scenario che ha portato alla situazione attuale.
2023, VERSO LA NORMALITA’
La situazione, che si trascina ormai da mesi, continuerà anche per tutto il 2022 perché i consumi sono ripresi molto più rapidamente del tempo necessario a produrre i chip. Si parla di un gap di almeno 6 mesi. La domanda per il primo semestre 2022 avrebbe dovuto essere pianificata già a giugno 2021, ma essendo adesso aumentata a dismisura chiaramente non potrà essere soddisfatto quanto richiesto.
Non è tutto. In Asia le vaccinazioni, ancora a rilento, stanno causando sporadici lockdown e le nuove chiusure non fanno altro che aggravare la situazione.
Difficile dunque fare pronostici, ma per il mercato dei semi conduttori per un “ritorno alla normalità” si dovrà attendere il 2023.
2021, L’ANNO DEI RINCARI
Molti rincari sono già avvenuti e altri ce ne saranno entro fine anno, ma quel che è certo è che non possono continuare anche nel 2022 per un semplice motivo: si arriverà ad una saturazione della capacità produttiva.
L’aumento dei prezzi è diretta conseguenza dell’aumento della domanda e dei costi di produzione: se da un lato i clienti si fanno carico di un aumento del prezzo, dall’altro i fornitori devono garantire che le consegne vengano rispettate. E’ lecito, dunque, pensare ad una saturazione della domanda ad inizio 2022 (se già non in corso) con conseguente stabilizzazione dei prezzi.
Non solo. Nel quadro di isteria collettiva, i clienti stanno gonfiando la domanda nella speranza di avere di più e nel minor tempo possibile, con il risultato di “mandare in tilt” i fornitori che non hanno più una chiara idea della domanda reale. Se tutti sono d’accordo nel dire che la domanda è “gonfiata”, nessuno sa dire esattamente di quanto e questo genera ulteriore caos nella pianificazione. Una bolla che dovrebbe sgonfiarsi nei prossimi mesi, quando non ci sarà più spazio per soddisfare altre richieste.
CHI PERDE E CHI GUADAGNA
Difficile dire quali siano i paesi più colpiti dalla crisi perché la situazione tocca da vicino tutti i paesi industrializzati con alta capacità manifatturiera. Se guardiamo all’Automotive, si stima nel 2021 una perdita di fatturato di circa 200 miliardi di $.
Chi sta guadagnando e chi sta perdendo da questa situazione? TSMC, uno dei primi produttori al mondo di semiconduttori, ha registrato nel trimestre un aumento dell’utile del +18% rispetto allo stesso periodo del 2020. TSMC si trova a Taiwan, quindi potremmo dire che il paese non è stato colpito dallo shortage, ma al contrario ci ha guadagnato. Siamo davvero sicuri che sia così? Cambiamo prospettiva e consideriamo invece la miriade dei clienti Taiwanesi serviti dai vari supplier mondiali. Analizzando la situazione, ci accorgiamo che lo shortage ha colpito duramente questa fetta di produttori costringendoli a chiudere o a ridurre drasticamente la produzione. L’altro lato della medaglia: Taiwan, questa volta, ha perso.