Nel corso degli ultimi cinque anni, l’attività di M&A – fusioni, acquisizioni, aumenti di quote – nel beauty è rimasta elevata. Le più grandi transazioni nel mercato, da Koninklijke DSM con Firmenich per un valore di 18,2Bn di $ a L’Oréal con Aesop per 2,5Bn, hanno confermato la vivacità del settore beauty e il crescente interesse da parte di investitori, società di Venture Capital, fondi di Private Equity e colossi del lusso.
Ma cosa rende le aziende beauty così attrattive per il mercato? La vocazione internazionale, l’elevata reddittività, la forte spinta all’innovazione, alla qualità e alla sostenibilità, nonché la sua resilienza (caratteristica di cui ha dato ampiamente prova durante la pandemia, soprattutto in ambito skincare ed haircare). Elementi che garantiscono margini elevati, competitività sui mercati internazionali e offrono interessanti prospettive di crescita. La conferma arriva dai dati: dal 2020, il beauty ha mostrato un dinamismo superiore ad altri settori del Made in Italy ad esso ‘affini’ come il tessile, l’abbigliamento o la pelletteria. Un’industria florida, che però ha bisogno di ‘aiuto’ per crescere.
Per capire che cosa sta accadendo in Italia e nel mondo del terzisti, sempre di più nel mirino degli investitori, abbiamo rivolto alcune domande a Marina Catino, Partner in Kearney.
Partiamo dalle operazioni di M&A degli ultimi anni…
Nel corso degli ultimi cinque anni il numero delle operazioni di M&A è rimasto elevato: il Covid ha influito sulla dimensione media delle transazioni (-3%), piuttosto che sul numero (ndr: dal 2018 al 2023 sono cresciute dell’1%). Le più grandi transazioni degli ultimi 5 anni hanno puntato al pieno controllo delle aziende target e hanno visto protagonisti acquirenti Corporate, come Koninklijke DSM con Firmenich, Kering con Creed oppure Estée Lauder con Tom Ford.
I player del lusso sono da sempre interessati alla diversificazione nel beauty, ma è vero che la tendenza odierna è a riprendere il controllo sulla produzione e commercializzazione?
Sì, è così. Ad oggi i player del lusso hanno ampliato la presenza nel beauty soprattutto attraverso accordi di licenza, che hanno permesso ai brand di diversificare rapidamente e generare profitti, senza dover investire nella produzione e nella commercializzazione. E’ il caso di YSL, Armani o Valentino. Alcuni brand però hanno iniziato a gestire direttamente linee di prodotto beauty in modo vincente, grazie a produttori – ed è qui che entrano in gioco i terzisti – in grado di fornire esperienza tecnica, qualità, time to market, efficienza ed economicità. Lo sanno bene Dolce & Gabbana, Kering, Hermès, che hanno sviluppato divisioni beauty che controllano direttamente.
Secondo le vs previsioni nei prossimi anni il mercato delle M&A sarà molto ‘vivace’ con operazioni che si concentreranno su mega deal (< 1Mrd di $) o sull’acquisizioni di piccole realtà (valore delle transazioni > 100Mio di $). Ci può spiegare il perché di questo trend?
Per cercare di comprendere questo fenomeno, bisogna prima dire una cosa: nel settore beauty & PC ci sono 800 aziende globali. Tutte, o quasi tutte, nei prossimi 3-5 anni avranno bisogno di nuovi investimenti o ricapitalizzazioni. Se quindi il Beauty & PC è un mercato maturo per beneficiare di un aumento delle transizioni e di un consolidamento delle realtà che esistono, c’è altresì una questione da non sottovalutare: i risultati legati alle transazioni negli ultimi anni non sono stati sempre eccezionali. Alcune aziende che sono state acquisite non hanno espresso tutto il valore e il potenziale che ci si aspettava, perciò c’è una grande attenzione da parte degli acquirenti per capire su quale tipo di marchi e su quali aziende è meglio investire…Soprattutto se si tratta di un’azienda corporate che deve effettuare investimenti per migliorare il portafoglio esistente.
Quali sono le aziende nel mirino degli investitori ?
Sicuramente i marchi puramente influencer e i brand esclusivamente D2C non sono considerati obiettivi molto attraenti, mentre è molto alto l’interesse verso aziende che offrono un’esperienza aspirazionale, come ad esempio una narrazione provocatoria o legata ad elementi differenziali, e su prodotti che hanno una qualità o una componente di innovazione molto forte. Un aspetto che tocca da vicino le aziende italiane che hanno fatto dell’innovazione il loro cavallo di battaglia.
Soprattutto per quanto riguarda i deal più piccoli, ci aspettiamo da parte degli investitori capitalizzazioni sempre più ‘precoci’, cioè l’acquisizione di una quota di minoranza nella fase iniziale di vita del brand/prodotto, per veder sviluppare tutto il potenziale di quella realtà.
Che cosa si può dire sulle transazioni avvenute in Italia negli ultimi 5 anni?
E’ interessante riflettere sia sui soggetti interessati che sulla ‘ratio’ di questi deal. Per quanto riguarda i soggetti che hanno effettuato queste operazioni, possiamo dire che la maggioranza delle transazioni è stata fatta in ambito beauty ma anche wellness in generale, da acquirenti italiani su aziende italiane. Solo un 20-30% delle transazioni di aziende italiane fa riferimento ad acquirenti esteri. Le aziende italiane si sono rese protagoniste del settore e questo ci ha stupito positivamente perché vuol dire che non solo il mercato è vivo, ma anche che le aziende italiane definiscono la propria strategia di crescita e cercano di portarla avanti in maniera autonoma.
E poi ci sono le ragioni dietro queste operazioni…Che cosa spinge un’azienda a far entrare un investitore?
Le ragioni si dividono essenzialmente in due categorie: acquisire nuovi brand per espandere il portfolio o per consolidare le proprie competenze e integrarsi nella value chain. La cosa interessante è che la maggior parte delle transazioni effettuate in Italia sono legate a quest’ultimo aspetto, cioè al consolidamento delle competenze e all’integrazione all’interno della value chain, non tanto all’ampliamento del portafoglio di brand. E qui i ‘terzisti’ diventano più che mai protagonisti perché significa integrare nuovi processi produttivi, nuove tecnologie, a monte o a valle della filiera…Le aziende italiane o puntano ad aumentare le proprie competenze e ad integrarsi nella catena per massimizzare il proprio valore mercato, per controllare la supply chain, per essere più efficienti e per rispondere meglio alle esigenze del mercato.
Nelle province di Cremona, Lodi, Bergamo e Milano – la cosiddetta Cosmetic Valley italiana – si produce per le aziende di tutto il mondo: i dati dicono addirittura che più del 65% del make-up mondiale venga prodotto in Lombardia…
E’ proprio così. L’Italia presidia in modo importante la value chain del Beauty, in particolare sul make-up dove le aziende italiane generano circa il 40% della produzione in outsourcing pari a circa 13 € bn di valore retail.