Chi ha pochi dubbi sul fatto che le psico-cosmesi sia materia di studio evidenzia che la pelle va intesa come una parete che delimita e divide il fuori e il dentro ma, soprattutto, che mette in contatto queste due diverse dimensioni. Non è un caso che la psicosomatica teorizzi che quando avviene un conflitto tra i nostri bisogni interne e il mondo circostante, il nostro corpo tenda a scaricare le tensioni sulla cute.
Per rafforzare la posizione di chi parla apertamente di psico-cosmesi è utile ricordare che viene considerata una branca della biologia cutanea che studia la connessione tra pelle e cervello, il legame tra mente e corpo e quel bisogno di soddisfare l’ego insito in noi con l’uso di cosmetici per sentirsi belli, in salute (cosmeticamente parlando) e in pace con sè stessi.
Coccolare la pelle, i capelli e il corpo, di fatto, ci aiuta a star bene. Tale concetto integra la cosmesi tradizionale con i benefici offerti dagli ultimi progressi nel settore. Progressi che, allo stato attuale, mirano all’ottenimento del benessere armonico e olistico.
La cosmesi è tradizionalmente orientata all’estetica, alla bellezza, alla salute della pelle. La psicocosmesi o neurocosmesi ne rappresenterebbe, invece, l’evoluzione attuale.
In che modo si attiva? Attraverso il rilascio di ormoni come conseguenza di una reazione emotiva a questo tipo di prodotti. Esistono aboratori che lavorano alla produzione di psicocosmetici, caratterizzati da ingredienti psicoattivi che incrementano o inibiscono il rilascio di neuromediatori della pelle.
Secondo i produttori, tali principi o sostanze sono in grado di stimolare le emozioni attraverso i sensi (vista, tatto e olfatto): tutti abbiamo sperimentato il piacere corporeo e sensoriale che deriva dall’annusare un profumo o dalla sensazione sulla pelle rilasciata da una crema o, ancora, l’emozione positiva che si prova quando ci si vede belli dopo un trattamento cosmetico al viso o ai capelli.
Ma è corretto utilizzare il termine psicocosmesi? E qui torniamo nel campo fitto di argomentazioni di chi ritiene che il suo uso sia improprio. Di fatto – è l’argomentazione sostenuta -, i cosmetici possono contribuire a migliorare il nostro benessere, ma non possono essere equiparati alla psicoterapia, per la quale, l’uso del prefisso psico è più che giustificato per ovvie ragioni. Inoltre, questo concetto viene utilizzato per parlare di cosmetici già esistenti da tempo, limitandosi a evidenziarne i benefici. Secondo gli psicologi, le vere emozioni positive vanno ben oltre la sensazione di piacere prodotta dai cosmetici. Inoltre, sostengono che il prefisso “neuro” e “psico” non andrebbe associato alla parola cosmesi, altrimenti, anche tutte le altre attività legate alle emozioni o agli ormoni potrebbero acquisirlo.
È indubbio che la stimolazione dei sensi possa avere un effetto (positivo) sull’umore, ma il fatto che una crema faccia sentire meglio, non significa che possa essere considerata uno strumento terapeutico. Tuttavia, è anche vero che la cura di sé fa parte delle strategie orientate al benessere della salute emotiva.