“Presidiare gli ambiti sociali è importante se si vuole attrarre i migliori talenti e trasmettere ai consumers un messaggio di attenzione e sensibilità, con evidenti ricadute reputazionali – spiega Claudia Straserra, chief reputation officer sustainability sector manager di Bureau Veritas società che insieme al Polo della Cosmesi ha organizzato il webinar “Sostenibilità sociale, diversity, inclusion e footprint” – Per questo negli ultimi anni si sono prodotti best practice e modelli di riferimento attraverso i quali le imprese possono dimostrare il loro impegno anche sul fronte sociale”.
DIVERSITA’ E INCLUSIONE, L’IMPEGNO DA COMUNICARE
La Diversity e l’Inclusion (D&I) sono aspetti che negli ultimi hanno assunto una certa rilevanza per motivi etici, organizzativi e di business. “Inclusione è una parola chiave per il posizionamento delle aziende agli occhi dei consumatori – sottolinea Straserra, relatrice del seminario -. Recenti sondaggi hanno dimostrato come l’impegno sociale e civico delle aziende abbia una ricaduta economica ben precisa: la scelta dei consumatori risulta ormai orientata dal comportamento etico/sociale delle organizzazioni. Secondo il Diversity Brand Index 2021, il 55,5% degli italiani è attento e attivo sulle tematiche della Diversity. Di questi, il 34,5% si definisce coinvolto e il 21% impegnato. La percentuale di coloro che non sono sensibili al tema si dimezza rispetto al 2020 (dal 25,4% al 12,4%). Oggi l’88% degli italiani sceglie brand inclusivi, nel 2017 era il 52%. Secondo le analisi del Diversity Brand Index, le aziende che investono nelle politiche di inclusione registrano incrementi +23% dei ricavi rispetto ai marchi non inclusivi. Tuttavia, solo un’azienda su 5 in Italia risulta impegnata realmente nei temi della diversità e dell’inclusione”.
DUE STRADE DA PERCORRERE
Come può un’azienda dimostrare il suo attivismo su questi fronti? Ci sono due modelli di riferimento: la recentissima ISO 30415 e la Geeis Diversity. “La ISO 30415 – Human Resource Management Diversity and Inclusion è la prima norma ISO che affronta il tema della diversità e dell’inclusione – sottolinea Straserra -. È uno standard internazionale che consente di implementare, valutare, mantenere e migliorare un D&I framework atto ad orientare e sviluppare percorsi aziendali caratterizzati da una maggiore inclusività e sostenibilità. La norma ISO 30415 rappresenta di fatto una preziosa guida per l’efficace applicazione dei principi di “Diversity & Inclusion” nei processi aziendali, negli organi di governo e, più in generale, per tutti gli stakeholder di riferimento, introducendo un approccio improntato su un vero e proprio D&I framework che mira allo sviluppo di un ambiente di lavoro inclusivo”.
VALORIZZARE LA DIVERSITA’ E L’INCLUSIONE
Ma la ISO 30415 non dà la certificazione. “Questa è possibile ottenerla con la Geeis Diversity – aggiunge l’esperta -. Nel 2010, l’Associazione Arborus e un gruppo di multinazionali hanno dato vita al Gender Equality European & International Standard (GEEIS). Il progetto è stato supportato dalla Commissione Europea e Consiglio Europeo per il Sociale e l’Ecomomia. A partire dal 2017, il GEEIS si è evoluto, includendo nuovi indicatori ed estendendo il focus al tema della diversity, ritenuto di grande attualità, diventando così “GEEIS-DIVERSITY”. Nasce una certificazione internazionale che valorizza la diversità e l’inclusione come elementi strategici di un’organizzazione”.
Fidelizzare i lavoratori attorno ad un progetto comune, fare emergere le buone pratiche, promuovere la diversità come valore, favorire la diffusione di una culturale dell’uguaglianza sui luoghi di lavoro, migliorare la gestione delle risorse umane e promuovere il dialogo interculturale all’interno del gruppo, sono i benefici della certificazione Geeis attraverso la quale è possibile comunicare all’esterno il proprio impegno rispetto alle pressioni sociali e del mercato, le aspettative degli stakeholder e i requisiti normativi applicabili.
COSA C’E’ DIETRO AL PRODOTTO ?
Ma c’è ancora un altro elemento sul quale le aziende dovrebbero prestare attenzione e valorizzare come elemento strategico per la propria competitività: il valore sociale del prodotto. «Mentre le certificazione di prodotto si concentrano prevalentemente sugli aspetti ambientali, esistono molti schemi focalizzati sugli aspetti sociali della filiera – afferma Straserra -. Nessuno di questi, però, comunica al consumatore il valore sociale del prodotto. Non ci sono loghi/marchi che ne parlano. Ma sapere cosa c’è dietro ad un prodotto, da dove vengono le materie prime, dove si svolgono i principali processi produttivi, sono domande che i consumatori si pongono e pretendono risposte”. Da qui nasce la Certificazione Social FootPrint, con l’obiettivo di fornire risposte chiare e comprensibili sull’etichetta e sul sito web, garantendo trasparenza e affidabilità della filiera. “L’etichetta si fonda un sistema di gestione delle informazioni sull’azienda e sulla filiera di prodotto, che garantisce la rintracciabilità e l’affidabilità dei dati – continua Straserra -. La finalità ultima della certificazione SFP è quella di coinvolgere il consumatore in scelte di acquisto più consapevoli da un punto di vista sociale e di supportare le organizzazioni nelle comunicazioni trasparenti al mercato”.
UN’IMPRONTA CHE LASCIA IL SEGNO
A questo scopo, l’organizzazione che si certifica con SFP si impegna, da un lato a stimolare il miglioramento delle condizioni etico sociali dei diversi anelli della sua filiera di produzione e, dall’altro, a rendere trasparente al consumatore la filiera da cui un prodotto proviene, la localizzazione dei fornitori e degli attori coinvolti nel processo di realizzazione finale del prodotto e le relative informazioni. “Così facendo – conclude l’esperta – l’organizzazione può comunicare al mercato l’«impronta sociale» di un suo prodotto, sia apponendo sullo stesso un’etichetta informativa, sia rendendo note tramite vari mezzi (tra cui il sito web), specifiche informazioni a riguardo”.