zero in pack

Zero In Pack è la società, nata come “costola” di Eurovetrocap, che offre packaging a basso impatto ambientale. Una delle tante, direte. Non proprio perché Zero In Pack, dove il nome è già una dichiarazione d’intenti, propone solo soluzioni a basso impatto ambientale accompagnate da un’analisi dell’LCA.

Una partita, quella della sostenibilità, tra le più complesse e difficili perché sono in tanti a parlarne, ma in pochi a dimostrarla con i fatti. Anzi, con i numeri.

Zero In Pack con la sua analisi dell’LCA del prodotto – uno strumento sviluppato in collaborazione con il dipartimento green dell’Università Bocconi e basato su 16 parametri – non solo si impegna a farlo, ma ne ha fatto la sua mission, e quando parla di packaging green lo fa in maniera chiara e trasparente portando a sostegno della propria proposta dati obiettivi.

Il tutto è nato da un’idea di un team di manager e professionisti del settore composto da: Giampaolo Herrmann, Direttore Generale e Ceo di Eurovetrocap; Eleonora L’Hoir Cattaneo, Ceo di Parispack; Costantino Cattaneo, Ceo Tenuta San Jacopo; Stefano Gulli, Ingegnere dei materiali con laurea al Politecnico e Simon Silvano, Responsabile Marketing con una lunga esperienza nel mondo del packaging e un master in economia circolare e materie plastiche. Sono loro ad avere dato forma ad un sogno, la sostenibilità, declinandola in un packaging cosmetico. Il racconto in questa intervista.

Come nasce il progetto Zero In Pack? 
Giampaolo Herrmann, Direttore Generale e Ceo di Eurovetrocap

Giampaolo Hermann: Il progetto è la risposta concreta del nostro gruppo all’appello della commissione Europea – derivante dal sentimento di un numero sempre crescente di cittadini e aziende non solo europei – che cita testualmente: “I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia enorme per l’Europa e il mondo. Per superare queste sfide, l’Europa ha bisogno di una nuova strategia per la crescita che trasformi l’Unione in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva in cui: 1) nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra; 2) la crescita economica sia dissociata dall’uso delle risorse e 3) nessuna persona e nessun luogo sia trascurato. Per questo, occorre promuovere l’uso efficiente delle risorse passando a un’economia pulita e circolare, ripristinare la biodiversità e ridurre l’inquinamento”.

Simon Silvano: La nostra mission è offrire imballaggi dedicati al mondo della cosmetica con il minore impatto ambientale, senza compromessi sulla funzione di protezione della formula che un pack deve avere e massimizzando la qualità percepita del contenitore e l’esperienza d’uso.

Con Zero In Pack ci impegniamo ad offrire la massima trasparenza sull’impatto ambientale dei nostri contenitori tramite un’analisi LCA (Life Cycle Assesstment) che accompagnerà ogni articolo in gamma. Vi chiederete come sia possibile fornire tali e dettagliate informazioni. Ebbene, la risposta è: dotandoci di strumenti in grado di comparare, motivare e spiegare come varia l’impatto di un articolo al variare del suo peso, del materiale scelto e di innumerevoli altri parametri.

zero in pack
Zero In Pack offre la massima trasparenza sull’impatto ambientale dei contenitori tramite un’analisi LCA (Life Cycle Assesstment) che accompagnerà ogni articolo in gamma
Le soluzioni proposte da Zero In Pack saranno “a basso impatto” ambientale? 

Giampaolo Herrmann: in realtà, parlare di “basso impatto” senza contestualizzare il concetto non sarebbe corretto. Potremmo definirlo basso in senso assoluto se fosse zero, perché zero è oggettivamente basso. Noi vogliamo essere “trasparenti” nella comunicazione e definire quello zero, presente anche nel nostro nome, come l’obiettivo, il punto di arrivo e non quello di partenza. 

Eleonora L’Hoir Cattaneo, Ceo di Parispack

Eleonora L’Hoir Cattaneo: Il nostro lavoro, il progetto stesso Zero In Pack, è finalizzato a ridurre l’impatto. Passo dopo passo. Quando studiamo o proponiamo un prodotto, lo paragoniamo sempre al suo predecessore e sempre ad un articolo di nostra produzione e ci poniamo l’obiettivo di spiegare al cliente in cosa e perché è migliore del precedente e come siamo stati in grado di ridurne l’impatto.

Giampaolo Herrmann: A conferma di quanto detto, posso dire che in questo periodo stiamo inviando alla nostra clientela un set dei principali prodotti di Zero In Pack dove forniamo evidenza, con studi dettagliati, del perché sono soluzioni meno impattanti di altre “tradizionali” da noi proposte.

Quali sono i parametri su cui agire per ridurre l’impatto?

Giampaolo Herrmann: nuovi materiali, nuove tecnologie di produzione, efficientamento dei processi, nuovi servizi di distribuzione…. E dal momento che sono parametri che evolvono nel tempo, ci sarà sempre il modo di lavorare per avere un prodotto a minore impatto ambientale. Potremmo dire che è un “work in progress”

Nel vostro listino esistono già dei packaging che hanno queste caratteristiche di sostenibilità?
Simon Silvano, Responsabile Marketing

Simon Silvano: l’offerta iniziale di Zero in Pack, per la quale rimandiamo al sito zeroinpack.com, si basa su una gamma completa di articoli standard- disponibili quindi anche per i clienti che vogliono testare piccole quantità- in vetro, plastica ed alluminio, dove viene privilegiato l’utilizzo di materie prime riciclate e dove la fase del fine vita del prodotto e il suo smaltimento giocano un ruolo chiave.

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Tra le proposte di Zero In Pack ci sono una serie di soluzioni ricaricabili, in cui il consumatore finale può riutilizzare il contenitore principale andando a sostituire la parte di ricarica.
Facciamo un breve riepilogo della vostra offerta sostenibile…

Giampaolo Herrmann: Iniziamo dai materiali riciclati post consumo, uno dei nostri cavalli di battaglia. Coinvolgendo il nostro partner Zignago Vetro, abbiamo realizzato la prima linea completa di packaging cosmetico in cui la % di vetro riciclato post consumo arriva al 60%. La gamma è composta da una serie di flaconi a vite che vanno dal 15 al 100ml di capacità e da un vaso da 50ml. A tali articoli abbiamo abbinato capsule, coperchi, contagocce pompe, in cui la % minima di riciclato va dal 40% a più del 90% del loro peso.

Grandi investimenti sono stati fatti anche per offrire alla clientela soluzioni ricaricabili, in cui il consumatore finale può riutilizzare il contenitore principale andando a sostituire la parte di ricarica. In questo caso, la gamma è composta da flaconi in vetro airless da 15 e 30ml e due vasi in vetro da 50ml.

Abbiamo anche diversi articoli realizzati interamente in monomateriale (stesso tipo di materiale per tutte le sue componenti) per agevolare la riciclabilità. Un discorso valido sia per la plastica che per l’alluminio e il legno. A completare l’offerta, con soluzioni più classiche e diffuse, flaconi in PE e PET ottenuti con materiali riciclati.

Zero In Pack
Zero In Pack è la società, nata come “costola” di Eurovetrocap, che offre packaging a basso impatto ambientale.
Avete in cantiere delle novità?

Simon Silvano: Sì! Nel prossimo futuro, presenteremo al mercato un prodotto totalmente innovativo. Si tratta di un contagocce cosmetico 100% in plastica completamente monomateriale, un prodotto che è stato sviluppato in risposta ad un’esigenza manifestata dai nostri clienti. Vorremmo che fosse considerato come il segno tangibile del fatto che li ascoltiamo e un esempio calzante di come innovazione e minore impatto siano concetti che si sposano alla perfezione.

Zero In Pack lavora sull’analisi LCA per capire dove agire per minimizzare l’impatto ambientale del packaging. Quali parametri valutate? 
Stefano Gulli, Ingegnere dei materiali

Stefano Gulli: Il modello, sviluppato in collaborazione con il Dipartimento Green dell’Università Bocconi, utilizza come parametri, oltre al peso e alla capacità del contenitore, tutti i materiali che lo compongono (siano essi vergini o riciclati), il processo produttivo e il luogo di produzione o di provenienza, il packaging secondario, le eventuali decorazioni utilizzate, la modalità di distribuzione e il fine vita del prodotto.

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L’LCA è uno strumento prezioso che permette di misurare l’impatto del processo produttivo di un prodotto in modo tecnico e scientifico
Come funziona il modello?

Stefano Gulli: E’ bene chiarire che il modello che utilizziamo è in grado di fornire un’analisi LCA semplificata. Abbiamo preferito puntare su uno strumento snello e di semplice utilizzo, in grado di mostrare ai nostri clienti in tempo reale cosa accade all’impatto di un prodotto se cambiamo uno o più parametri. Questo modello ci permette di capire e spiegare come e perché l’utilizzo di un accessorio rispetto ad un altro fa variare l’impatto o perché è bene privilegiare una particolare decorazione piuttosto che un’altra.

Non basta sapere che un vasetto in vetro riciclato con un coperchio riciclato “è meglio” di uno tradizionale, serve capire di quanto e perché. E un’analisi LCA dettagliata è lo strumento perfetto per mostrarlo con un approccio tecnico e scientifico. Cioè: in maniera obbiettiva.

Uno strumento di grande aiuto anche per creare prodotti “green” già in fase di progettazione…
Costantino Cattaneo, CEO Tenuta San Jacopo

Costantino Cattaneo: Esattamente! Questo approccio è utile sia per i prodotti già a catalogo, sia per quelli che andremo a realizzare perché solo stimando l’impatto ex-ante, cioè in fase progettuale, si potrà sviluppare al meglio un articolo che poi lo minimizzi. Il modello analizza 16 differenti categorie di impatto – tra le quali la CO2 è la più nota – e spiega in quale momento della vita del prodotto tale impatto è generato.

Fermo restando quanto abbiamo detto prima e cioè che esistono diverse variabili coinvolte nell’LCA di un prodotto, ci sono dei materiali “più sostenibili” di altri?

Stefano Gulli: Possiamo dire che esistono delle soluzioni sostenibili, ma occorre verificarne la possibilità di impiego nel packaging cosmetico che, ricordo, dev’essere soprattutto sicuro, durevole, esteticamente appagante….

Dal canto nostro, pur continuando ad effettuare test su materiali biobased e biodegradabili e compostabili – particolarmente interessante è stato quello sul PHA testato con il Politecnico di Bologna e con un importante contract filler italiano -, al momento lavoriamo su materiali riciclati.

La sfida principale, nel mondo cosmetico, è quella di coniugare sicurezza ed estetica. Sul fronte sicurezza, laddove non presenti adeguate certificazioni, abbiamo individuato dei materiali sui quali abbiamo fatto realizzare test di migrazione da laboratori indipendenti. Sul lato dell’estetica, oltre a reperire i principali materiali riciclati diffusi a livello europeo, lavoriamo costantemente con alcuni fornitori per avere forniture omogenee e di qualità cosmetica. A giugno, grazie all’arrivo di una nuova linea di produzione, amplieremo l’offerta di flaconi coestrusi 100% PE con caratteristiche di contatto con alimenti, qualità estetiche pari ai flaconi vergini e un’altissima percentuale di riciclato.

Che cosa ne pensa del PET?

Stefano Gulli: Crediamo molto in questa alternativa. Il PET è un materiale di cui l’Italia è grandissimo utilizzatore e un eccellente riciclatore. La disponibilità di una materia prima seconda di elevata qualità lascia presagire che il suo utilizzo in campo cosmetico sarà sempre più presente nel packaging cosmetico a ridotto impatto ambientale.

Questo è anche il motivo per cui abbiamo investito in una linea di produzione di articoli in PET di ultima generazione, capace di offrire una riduzione dei consumi rispetto alle linee tradizionali. Una linea che viene prodotta nel nostro sito di Trezzano sul Naviglio, in un reparto produttivo in cui il 60% del fabbisogno energetico è compensato dalla produzione di impianti fotovoltaici posti sul tetto. Questo, unito alla minimizzazione dei trasporti, ci consente di permesso di abbattere dell’oltre il 50% le emissioni di CO2 rispetto allo “stesso” prodotto offerto precedentemente ai nostri clienti.