Intervista al Prof. Enrico Marcantoni, ordinario di Chimica Organica Univ. Camerino
Il gruppo di ricerca sui “Materiali compositi” coordinato dal Prof. Enrico Marcantoni, ordinario di Chimica Organica del Polo di Chimica presso l’Università degli Studi di Camerino da diversi anni si occupa dello studio delle relazioni tra i componenti di materiali compositi a matrice polimerica. Particolare attenzione è rivolta a quei materiali compositi con elevata biocompatibilità, alta stabilità chimica e bassa tossicità, che possono facilitare la produzione di imballaggi più compatibili con l’ambiente e capaci di soddisfare i requisiti di economia circolare.
Il tutto con il supporto delle imprese. Alle imprese, il gruppo di ricerca fornisce il proprio supporto sia nella fase di produzione, sia nella caratterizzazione e sviluppo del prodotto. Questa continua sinergia tra la realtà accademica e quella aziendale nell’ambito dei materiali compositi ha favorito un continuo sviluppo di prodotto, ma altresì di processo.
I risultati raggiunti in questi anni sono tanti e tra questi anche materiali dalle particolari proprietà innovative, capaci di ridurre la formazione di sotto prodotti e le emissioni di rifiuti. Senza dimenticare lo sviluppo di nuovi additivi organici, per facilitare la preparazione dei materiali compositi e per uno smaltimento “sostenibile” a fine vita.
Una testimonianza di come la chimica e la scienza dei materiali, insieme, possano accompagnare le imprese verso una crescita più sostenibile.
Prof. Marcantoni che cosa sono i materiali a matrice polimerica di cui vi occupate come gruppo di ricerca della sezione di Chimica Organica?
I materiali a matrice polimerica non sono altro che la plastica. Soprattutto negli ultimi anni la plastica è stata oggetto di attacchi privi di fondamento scientifico, fondati su falsi miti o come si direbbe oggi, fatti di fake news.
Il problema c’è ed è innegabile, ma la verità è che l’allarmismo esasperato sulla questione “plastica” è spesso la conseguenza di presunti studi scientifici. Ad esempio, nel 2017, la prestigiosa rivista “Science” ha ritirato la pubblicazione di uno studio sul “continente di plastica” per disonestà scientifica e totale mancanza di chiarezza sull’effettivo svolgimento della ricerca.
Dal canto nostro, da tempo stiamo lavorando su materiali rinnovabili che provengono da innovativi processi di raffinazione di raw materials non fossili e non competitivi con l’alimentazione umana, secondo i principi dell’economia circolare. Tuttavia, pensare che passare alle bioplastiche risolva tutti i problemi è poco serio e rischioso. A. Einstein diceva “non si possono risolvere i problemi con lo stesso modo di pensare di quando sono stati generati; il rischio è di ottenere soluzioni che creano problemi ancora maggiori”.
Il problema ambientale però esiste ed è tangibile…
L’inquinamento da plastica (e non solo) esiste ed è tangibile, ma è scorretto ingigantirlo nel tentativo di spingere l’opinione pubblica ad accettare delle scelte che sembrano dettate più da ragioni economiche che non da esigenze ambientali. C’è di più. E’ un dato oggettivo che l’impatto ambientale della plastica è inferiore se confrontato con quello di altri materiali con la stessa funzione. Il vetro, ad esempio, è molto più pesante e il suo trasporto incide sensibilmente di più nell’emissioni di CO2.
La plastica è una risorsa preziosa che non dev’essere demonizzata. Riflettiamo su due aspetti: 1) la plastica è un materiale riciclabile, come metallo, vetro o carta; 2) ciò che è naturale non si traduce sempre in un prodotto buono e con impatto ambientale zero.
In che direzione si sta muovendo la ricerca dell’Università di Camerino?
Oltre a far chiarezza su falsi miti, l’obiettivo della ricerca è di sviluppare prodotti e processi produttivi innovativi, con performance ottimali, che rendano virtuoso il ciclo produttivo e che rispettino il pianeta. Materiali sempre più performanti potranno essere ottenuti in seguito ad una intensa attività di ricerca, ricca di iniziative di aggregazione interdisciplinare.
“la plastica è una risorsa preziosa. ma occorre gestirla in modo corretto “
Quanto è importante la collaborazione fra Università e Imprese?
Fondamentale. Il gruppo di ricerca da me coordinato in Unicam è composto da post-doc e dottorandi cofinanziati dalle imprese. Queste collaborazioni con le aziende ci hanno permesso di arrivare ad importanti risultati come la funzionalizzazione di materiali compositi di riciclo. Il partner tecnologico con una significativa esperienza nella produzione è estremamente importante nella formazione dei nostri giovani, soprattutto nello sviluppo di prodotti dalle caratteristiche tecniche eccellenti, nel rispetto dell’ambiente e della salute degli utilizzatori finali.
Bisogna ricordare che la sostenibilità è una questione di cui si è iniziato a parlare molto tempo fa. Già nel 1987, nel Rapporto Brundtland delle Nazioni Unite si parlava di sviluppo sostenibile definendolo come “lo sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”. Una questione che tiene conto di aspetti economici, sociali e ambientali e che approccia la sostenibilità in maniera olistica.
Attualmente su quali progetti state lavorando? Il focus è sui nuovi materiali e sullo smaltimento di quelli esistenti?
E’ evidente che i materiali compositi ricoprono molte applicazioni della vita di ogni giorno e stiamo lavorando per un auspicabile uso dei materiali green, ma con criterio. Ad esempio, abbiamo da poco terminato di ottimizzare, insieme ad un’importante azienda, un processo di devulcanizzazione della gomma al fine di ripoterla riutilizzare in una nuova vulcanizzazione.
In questo ultimo periodo stiamo lavorando sui miglioramenti del packaging, che non è da considerarsi né superfluo né uno spreco di risorse. Le emissioni di CO2 nella produzione di imballaggi sono meno del 10% di quelle causate dalla produzione di alimenti. Un imballaggio sicuro e sostenibile (green) evita che il cibo si rovini prematuramente (oggi più di un terzo del cibo prodotto nel mondo viene sprecato).
Come Università il nostro approccio è quello di ottenere nuovi materiali compositi sulla linea delle 4P (Polimero, Processo, Prodotto, Prestazioni), tenendo conto che le “prestazioni” racchiudano anche le 4R (Riduzione, Riutilizzo, Riciclo e Recupero).
Lo smaltimento? Oggi non possiamo più considerare lo smaltimento come un processo di emergenza, dobbiamo lavorare su nuovi materiali tenendo conto anche del “dopo”. Cioè del recupero e riciclo.
Parliamo dei nuovi materiali che avete sviluppato. Che tipo di impiego hanno?
Siamo riusciti ad ottenere nuovi prodotti con prestazioni analoghe a quelle passate con un materiale PET e PP completamente riciclato 100% post-consumo. Questo ci incoraggia a continuare gli sforzi su questa strada. Oggi lavoriamo principalmente nell’industria alimentare, ma le conquiste potrebbero trovare impiego anche in altri settori, come quello cosmetico.
Parliamo di recupero e riciclo…
La chiave di tutto. Riciclare significa immettere nuovamente in ciclo, dare nuova vita ad un prodotto/materiale esausto. E la plastica è un materiale riciclabile come metallo, vetro, carta.
Ci sono aziende che promuovono la “plastica sociale” ricavata dal riciclo dei rifiuti in plastica raccolti in mare, lungo i fiumi o sulle spiagge. Un pratica assai virtuosa, ma attenzione a non tralasciare alcuni “dettagli”: un materiale riciclato non avrà mai le stesse proprietà di un materiale vergine.
L’ideale è lavorare ex-ante: puntare sullo sviluppo di materiali che abbiano già le caratteristiche di riciclabilità e che tengano conto dell’LCA.
Considerare l’impatto ambientale di un prodotto o di un processo produttivo nella sua interezza, anche a distanza di anni, non dev’essere facile…
Verissimo. Le porto un esempio. Abbiamo ottenuto risultati incoraggianti nel prolungare la shelf-life dei prodotti impiegando piccole percentuali di catalizzatori. Il problema più grande è stato quello di considerare il processo e le sue conseguenze dopo svariati processi di riciclo… Non si trattava più dei quantitativi minimi iniziali, ma di percentuali più consistenti. Quali sarebbero state le conseguenze? Il prodotto avrebbe potuto diventare tossico? Il packaging sarebbe stato ancora riciclabile? Sono domande che pone l’economia circolare.
“per migliorare la shelf-life dei prodotti stiamo lavorando sul packaging”
Molto importante è la questione della conservazione…
Certamente. Uno dei principali responsabili del GWP (Global Warming Potential) è il «Foodwaste» (spreco di cibo). Noi stiamo lavorando molto sulla questione della conservazione degli alimenti agendo sul contenitore, cioè sull’imballaggio. Invece di aggiungere additivi sul contenuto, stiamo operando per rendere efficace il contenitore.
Parliamo di additivi: a che cosa servono? Perché avete scelto di seguire questa strada?
Per prolungare la conservazione stiamo lavorando sull’aggiunta di additivi come gli antiossidanti. Siamo riusciti a legare questi additivi sulla matrice polimerica e l’aggiunta di un particolare additivo ci ha permesso di disporre gli antiossidanti sulla superficie. Solo in questo modo gli additivi possono svolgere la loro azione di conservazione senza migrare sul contenuto. Una scoperta che potrebbe rivelarsi molto interessante in un’ottica di riciclo.
Quale sarà la prossima sfida della Ricerca?
La prossima sfida sarà quella di trovare additivi per facilitare il riciclo di materiali indurenti. Ad oggi, quando si parla di riciclo si pensa quasi esclusivamente ai materiali termoplastici, che con un semplice riscaldamento possiamo riutilizzare. Tutto ciò non è possibile con materiali termoindurenti. Ma sono certo che anche per questi materiali la ricerca troverà una soluzione ecosostenibile per il loro riutilizzo.
Il driver, quindi, sarà la sostenibilità?
Senza dubbio. Siamo del mondo accademico, ma abbiamo la consapevolezza dell’importanza della sostenibilità industriale, come continua innovazione, ottimizzazione ed uso di tecnologie che possono ridurre la produzione di rifiuti e consumo di risorse.